Eremo di San Salvatore

L’Eremo di San Salvatore nei pressi di Vallerano, è quel che oggi rimane di un piccolo cenobio benedettino scavato nel tufo, dopo il catastrofico distacco di un costone di roccia che,nel 1888, ha spaccato in due gli ambienti rupestri.
Si trova in un’alta falesia che costeggia il rio delle Cannucce a circa un chilometro, in direzione nord-est, dall’abitato di Vallerano.
La titolazione della chiesa rupestre e del cenobio non è certa; il nome Grotta del Salvatore, riportato come toponimo della località, probabilmente deriva dagli affreschi, compare sporadicamente anche la denominazione Grotta di San Vittore, che ricollegherebbe questo monastero a un omonimo cenobio sul Monte Soratte.
Secondo un’altra ipotesi, recentemente ripresa, questo nucleo rupestre andrebbe identificato con il cenobio di San Salvatore de Coriliano, appartenente al monastero romano di San Silvestro in Capite.
In effetti il monastero romano possedeva delle proprietà nell’area già a metà IX secolo, ma l’esistenza di un cenobio è attestata solo in un documento del 1112.
Dai pochi documenti superstiti risulta che questo cenobio, spesso coinvolto in contese territoriali con le comunità di Vallerano e Vasanello, è citato per l’ultima volta nel 1299.
La chiesa fu, probabilmente, costruita e decorata tra la seconda metà del IX secolo e il pieno XI secolo.
La struttura si articolava su più livelli: al livello inferiore, rimangono due ambienti ipogei, di cui si ignora la funzione, più in alto si scorge quel che rimane della chiesa vera e propria, ancora sopra una serie di vani comunicanti con molta probabilità fungevano da celle per i monaci, non ne resta praticamente nulla.
Rimane attualmente visitabile la metà di un ambiente di planimetria trapezoidale allungata.
La parete di fondo della chiesa dell’ambiente, di andamento leggermente curvilineo, si interrompe bruscamente dopocirca due metri, vi si trova l’altare, su un rialzo ricavato nella roccia, cui si accede da tre gradini, anch’essi scavati nella roccia; è un semplice altare a blocco, con un foro quadrangolare sul lato superiore, il ripostiglio delle reliquie.
La parete al disopra dell’altare è occupata da un affresco raffigurante la Comunione degli Apostoli, nel quale si legge la scritta ANDREAS / VMILIS ABBAS; il nucleo centrale della composizione è la figura stante di Cristo in atto di avvicinare un calice alle labbra di San Pietro, alla destra di questo gruppo si staglia un altare ricoperto da un ricco panno ricamato, e sopra di esso un angelo a mezza figura con un vassoio in mano.
La parete Nord, lunga circa 10 m, ha andamento curvilineo in direzione Est-Ovest; su di essa si aprono due ampie nicchie.
La prima, all’altezza dei gradini dell’altare, ha volta a tutto sesto e fondo piatto, con una nicchia più piccola nell’intradosso destro; sul fondo della nicchia è dipinta una croce latina in rosso su intonaco bianco, racchiusa da una cornice rossa che segue la linea dell’intradosso.
La nicchia serviva probabilmente come appoggio per gli strumenti delle celebrazioni liturgiche.
La seconda nicchia, molto più ampia, ha profilo esterno ad arco e planimetria trapezoidale.
Lungo questa parete è affrescata una lunga teoria di figure: la Vergine col Bambino è affiancata tre sante martiri Lucia, Agnese e Sofia, prime due a sinistra e la terza a destra, ora non più leggibile, fan da corona alla Madonna col Bambino, seguono tre santi benedettini Benedetto, Mauro e Placido.
Le tre sante, ciascuna identificata da un’epigrafe a lato della figura, stanti e rivolte di tre quarti verso la Vergine, sono riccamente vestite (con diadema e orecchini); le prime due figure recano delle corone nelle mani velate, mentre l’ultima nella fila tiene una piccola croce nella mano sinistra, mentre nella mano destra, velata, sorregge una pisside.
Subito al disopra della nicchia è raffigurata una Madonna col Bambino a figura intera, all’interno di un clipeo.
Quanto al gruppo dei santi benedettini, anch’essi identificati da epigrafi a lato delle figure, si tratta di figure stanti e perfettamente frontali,il che implica che si tratta di pitture votive, a differenza delle raffigurazioni precedenti.
Anche qui ci sono alcune particolarità iconografiche degne di nota: oltre al fatto che qui troviamo uno dei primi ritratti di San Benedetto mai scoperti, le figure dei suoi discepoli Mauro e Placido solitamente non compaiono prima dell’XI secolo; inoltre, Placido tiene nelle mani una croce bianca, il che lo qualifica come martire, dato non attestato prima del XII secolo nelle fonti scritte.
La volta era completamente occupata da una croce gemmata su un cielo stellato, al centro della quale si trovava un clipeo con l’immagine di Cristo Pantokrator a mezzo busto; ai quattro lati della croce si trovavano clipei più piccoli, con le immagini dei quattro evangelisti. Di questa composizione rimangono due frammenti della figura di Cristo, parte della veste dorata e di un libro aperto nel quale si legge l’epigrafe EST MIHIES CONCSA LVCI TERREQVE POTESTAS(Mt 28, 18).
Un terzo frammento conserva parte della cornice del clipeo centrale e dello sfondo, oltre che un ampio frammento del clipeo in cui era raffigurato l’evangelista Giovanni.
Tra questo ambiente e l’ambiente successivo la parete ha andamento curvilineo, ed è caratterizzata dalla presenza di una nicchia semicircolare.
A destra dell’ambiente si apre un altro nicchione, probabilmente un arcosolio sepolcrale.

Testo ripreso da https://www.iluoghidelsilenzio.it